È un fenomeno attuale che interessa numerose famiglie, perlopiù composte da genitori aventi nazionalità diversa o che hanno scelto di vivere la loro vita in paesi distanti da quello di origine.

Secondo i dati diffusi dal Ministero della Giustizia italiano, nel solo primo semestre del 2021 sono state avanzate 79 segnalazioni alle autorità italiane incaricate di seguire il fenomeno ed il paese maggiormente interessato è stato il Regno Unito, seguito da Francia e Germania, mentre i casi pendenti erano addirittura 394, con netta prevalenza delle problematiche connesse con la Romania.

La sottrazione internazionale di un minore avviene quando un bimbo viene portato o trattenuto in uno stato diverso da quello ove vive abitualmente senza il consenso del soggetto che esercita la responsabilità genitoriale.

L’esempio comune è quello di un genitore che allontana il minore dall’altro genitore o si rifiuta di riconsegnarlo al termine di una vacanza.

La Convenzione dell’Aja del 1980 è dedicata a questo fenomeno ed ha il pregio di poter essere applicata a favore del minore indipendentemente dalla nazionalità dei genitori, bensì facendo riferimento al luogo di residenza abituale del bimbo.

In altre parole, se il minore era solito risiedere in una nazione firmataria o aderente alla convenzione sarà destinatario della protezione prevista nella stessa senza che abbia rilevanza la sua nazionalità o quella dei genitori.

Sebbene datata 1980, la Convenzione dell’Aja è stata ratificata e resa esecutiva in Italia solo nel 1994, un enorme ritardo che ha creato enormi problemi ed attualmente regola i rapporti tra 87 paesi, tra cui la Svizzera.

Le norme previste dalla convenzione si applicano solo se entrambi i paesi, cioè quello di partenza e di destinazione o trattenimento del bambino, sono aderenti ed hanno reciprocamente accettato l’adesione e se il minore ha meno di 16 anni.

Allo scoccare del compimento del sedicesimo anno, infatti, la tutela in tema di sottrazione si interrompe.

I soggetti che possono chiedere aiuto ai sensi della convenzione dell’Aja sono quelli che esercitano la potestà genitoriale sul bambino, che in Italia o in Svizzera normalmente avviene in capo ai genitori, ma che può vedere ipotesi particolari.

Basti pensare al caso di bambini affidati in forza di un provvedimento del giudice ai servizi sociali o a parenti o a persone terze non legate da alcun legame di parentela.

Ma cosa fare, dunque, in caso di sottrazione o non restituzione di un bimbo?

Non è necessario attendere un termine predefinito per segnalare il fatto, ma è preferibile non attendere oltre i 12 mesi, poiché solo entro questo lasso di tempo è possibile chiedere al giudice competente di imporre il ritorno del minore, a meno che sussistano ipotesi particolari di cui si dirà.

Trascorsi 12 mesi, invece, il giudice non potrà ordinare il ritorno qualora venga accertato che il bambino si è integrato nel nuovo contesto e, in sostanza, possa dirsi di nuovo a casa.

In termini procedurali, il meccanismo imposto dalla Convenzione dell’Aja viene solitamente avviato dallo stato di residenza abituale del minore e ciò a seguito di impulso della persona esercente la potestà genitoriale, ma questa può decidere di rivolgersi anche alle autorità dello stato che ospitano il bambino.

Può non apparire semplice sapere a chi rivolgersi, ma è bene sapere che tutti gli stati aderenti hanno al loro interno degli uffici che hanno il compito di comunicare e collaborare con i loro rispettivi all’interno delle altre nazioni.

Le prerogative di queste attività centrali riguardano preliminarmente la localizzazione del bambino e agevolare la restituzione volontaria.

In caso di insuccesso, gli uffici dovranno collaborare in termini di proposizione di azioni giudiziarie e, in generale, nell’attivazione di tutto quanto necessario al fine della riconsegna.

Le autorità centrali, va detto, non hanno alcun potere decisionale: semplicemente agevolano quella che sarà la decisione del giudice il quale, ha un certo margine di valutazione.

Se è vero, infatti, che lo scopo della normativa è permettere un sereno e rapido rientro del minore in quella che prima della sottrazione era la propria abitazione, non vanno disattese esigenze di ulteriore protezione dello stesso.

Eventuali discriminazioni religiose, rischi di maltrattamenti, pericoli per la salute ed in generale per il benessere psicofisico del bambino dovranno essere tenuti in considerazione.

La procedura di per sé è gratuita, ma è altamente probabile che sia necessaria l’assistenza da parte di un avvocato locale, che sarà incaricato di interloquire con le autorità giudicanti.

La Convenzione dell’Aja prevede che la durata di quanto indicato non dovrebbe durare più di sei settimane, ma è tale termine è pressoché disatteso ovunque.

Cosa accade, invece, se il minore è portato o trattenuto in uno stato che non aderisce alla convenzione?

Purtroppo, non sarà possibile attivare la procedura indicata ed interessare le autorità centrali; non resterà, dunque, in questi casi altro che incaricare un avvocato locale in grado di adire le vie giudiziarie competenti con un aggravio di spese, di tempi e di sofferenza nettamente maggiore.

Come impedire che tutto ciò avvenga?

Non esiste una formula magica, ma possono essere presi alcuni accorgimenti come, ad esempio, non concedere il proprio assenso all’emissione di un documento valido per l’espatrio o chiederne la revoca o, ancora, chiedere motivando che non venga rilasciato un visto qualora si sospetti che l’altro genitore possa tradire la fiducia di quello affidatario.

In fase di separazione o divorzio potrebbe essere utile chiedere al giudice di emettere un divieto di espatrio in mancanza di esplicito consenso dell’altro genitore e, successivamente, chiedere il riconoscimento della sentenza nello stato in cui si teme possa essere trattenuto o portato il minore.

Avvocato Sara Botti